Entra nella tua cameretta e, chiusa la porta… (Matteo 6:6)

Cosa significa chiudere la porta per noi, oggi? Esiste ancora un luogo, uno “spazio tempo” in cui rifugiarci e trovare quiete? Cosa entra in casa nostra e nella nostra vita, e come tracciare dei confini sani? 

È successo tutto una sera. Avevamo deciso di trascorrere qualche giorno al mare con i nostri bambini prima dell’inizio della scuola. Il secondo giorno mi sono accorta che qualcosa non stava funzionando: ero stanca, forse più che a casa, non riuscivo a godermi il cambiamento d’aria né la relativa libertà dai soliti impegni. Certo, potrei citare a mia difesa la celebre frase “Sono una mamma che viaggia con i figli: non è una vacanza, ma un viaggio di lavoro!” C’è senz’altro molta verità mescolata a questa ironica affermazione, ma dentro di me sapevo che il punto era un altro.

La seconda sera, dopo aver messo a nanna il bimbo più piccolo, mi sono domandata se non fosse il caso di fermarmi un attimo a riflettere, approfittando del fatto che gli altri bambini erano in cucina a giocare con il papà. Proprio in quel momento mi è venuto in mente il passo della Scrittura in cui Gesù, dando alcune istruzioni sulla preghiera, invita a “chiudere la porta della nostra cameretta”.

C’era una volta una porta…

c'era una volta una porta

Potremmo illuderci, dunque, che basti chiudere una porta per trovare quel luogo ideale in cui meditare, aprire il nostro cuore e ritrovare pace. Quella sera nella mia “cameretta” regnava il silenzio e una luce soffusa. Mi sono inginocchiata, ma ecco un bagliore artificiale e improvviso. A seguire non un tuono, bensì uno scampanellio sottile e deciso. Notifica dal cellulare. Allora ho realizzato la verità: no, non basta chiudere una porta. 

La verità è che le nostre case sono piene di porte: spesso si tratta addirittura di varchi senza battenti. Una specie di modernissimo “Colosseo digitale”. Quante porte ci sono in casa tua? Potrebbe rivelarsi un’operazione molto difficile ma, probabilmente, daremo tregua alla nostra mente solo quando avremo davvero chiuso tutte le porte. Almeno ogni tanto, almeno per un po’.

Se chiudiamo la porta di casa ma lasciamo aperte dieci finestre sullo smartphone, non ci saranno mai le condizioni per avere una quiete reale. Inoltre, se il nostro “piccolo grande mondo” digitale ci segue ovunque, dalla cucina al bagno passando per il salotto, l’ufficio e la casa al mare… come potremo mai “cambiare aria”?

Il mondo a casa tua

Credo che la TV sia stata la prima gigantesca porta a essere stata inserita nelle nostre case, ai tempi in cui “smartphone” era ancora una parola aliena. E proprio alla sera, chiusa la porta di casa, ci si poteva permettere un altro tipo di “uscita” fuori porta. La TV poteva teletrasportarti a un concerto, assegnarti un posto in prima fila per uno spettacolo comico o catapultarti dentro la vita di qualcun altro. C’erano i pro e i contro, come in tutte le cose sotto il sole. La TV però non era portatile, e aveva un bel pulsantone di spegnimento. Le più evolute avevano perfino lo spegnimento automatico. Una porta che in qualche modo veniva chiusa, presto o tardi. Con lo smartphone è più difficile. È stata perfino coniata la parola nomofobia, per indicare la paura di non essere “connessi” e di restare senza telefono. Anche adesso che scrivo questo articolo, lo smartphone è poco distante da me, lo schermo nero indica una quiete apparente e potrebbe illuminarsi da un momento all’altro. E il mio cervello lo sa. 

Mettere dei confini è possibile

Forse l’idea di restare qualche ora offline può spaventare, probabilmente aspettiamo una notizia importante, forse aspettiamo risposte… forse. È certo però che, se non riusciremo a riscattarci da questa nuova forma di dipendenza, la nostra salute e quella dei nostri figli ne risentirà. Sia a livello mentale sia fisico. È stato ormai dimostrato scientificamente che il costante stato di allerta a cui le notifiche costringono il nostro cervello può avere conseguenze negative sul nostro sistema nervoso e sulla nostra capacità di concentrazione.

Porticine e portinai           

“Poi torna, chiudi la porta dietro di te e i tuoi figli” (2 Re 4:4). “Non darmi fastidio; la porta è già chiusa, e i miei bambini sono con me a letto…” (Luca 11:7).

È interessante notare come la Scrittura, a proposito del “chiudere la porta”, includa spesso i figli.

In 2 Re 4:4, Dio invita una vedova a chiudere la porta dietro a sé e ai suoi figli, prima di compiere per lei un grande miracolo. Nel secondo passo citato, quello dell’amico insistente, il protagonista del racconto ha già chiuso la porta e precisa che i suoi bambini sono con lui.

Arriverà un tempo in cui i nostri figli dovranno mettere a loro volta, dei sani confini attorno alla loro vita e alla loro casa, ma adesso spetta a noi farlo. 

Possiamo mettere nelle mani di un bimbetto un portale che si affaccia su ogni sorta di contenuti (morali e non), oppure possiamo assumerci le nostre responsabilità: aprire e chiudere a seconda dell’orario, del contesto, dei nostri principi e delle nostre sane inclinazioni.

Iniziamo a piccoli passi

Stasera spegniamo il telefono, oppure mettiamo offline i dati se dobbiamo essere raggiungibili da telefonate importanti. Disconnettiamoci un’oretta prima di andare a letto poi, via via, sempre prima… fino a riprenderci una fetta di giornata, una porzione di vita. Chiudere la porta al mondo per qualche ora può significare aprire una finestra che si affaccia sul cuore del nostro coniuge, dei nostri figli e dei nostri amici. Significa costruire una recinzione di amore e protezione che ci permetta di camminare per le strade polverose del mondo senza perdere quella piccola oasi, in cui tornare per rinfrescarci e riposarci, senza notifiche.

 Eugenia Andrighetti

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