Come maestro d’asilo mi rendo conto, ogni giorno di più, come la figura maschile in un nido sia essenziale per i bambini. Sono tante le esperienza che ho vissuto, ma vorrei lasciarti la mia ultima considerazione .
“Amore, non sono papà!” questa è una frase che spesso i bambini a scuola mi sentono dire. “Sì, è vero, sono un uomo, ti coccolo, ti insegno, ti faccio disegnare ma…non sono papà!”
Queste esperienze quotidiane mi portano a riflettere su vari aspetti dello sviluppo del bambino e a problemi relativi della nostra società.
Il lavoro sembra avere preso sempre più valore e tempo nella nostra vita. Lavoriamo tutto il giorno con fatica, corriamo alla ricerca della carriera. Poi, si torna a casa dicendo: “Amore scusa devo finire del lavoro. Voi iniziate a mangiare.”
Carriera o famiglia?
Desidero condividere una mia riflessione: è certamente giusto lavorare e percorrere un cammino per una carriera migliore e appagata. Tutto questo, però, non deve togliere o, ancora peggio, svalorizzare le priorità nell’ambito della famiglia e il tempo trascorso insieme.
“Amore non sono papà”, questa frase mi ha fatto molto riflettere. Lavoro tutto il giorno in asilo, dalla mattina alla sera e diversi bambini hanno il mio stesso orario. Alcuni di loro mi chiamano papà e, quando arriva il vero padre a prenderli, si mettono a piangere. C’è una bambina in particolare che, quando torno dalla pausa, mi accoglie con un sorriso a quattro denti e con gli occhi a cuoricino esclama “Papà!” ed io replico: “Amore non sono papà”.
Nella fascia di età con la quale lavoro si passa da un periodo di forte attaccamento con la mamma, ad un processo di individuazione personale. Margaret Mahler lo descrive come processo di separazione-individuazione.
Bene, in questo momento di individuazione, il bambino che si sta staccando dalla mamma, cercherà altre figure che gli possano trasmettere fiducia, sia in se stessi sia negli altri, così da fargli scoprire il mondo.
Risulta quindi fondamentale la figura di un padre presente e di tempo prezioso trascorso insieme. Parliamo quindi di tempo e di qualità.
Tedd Tripp afferma: “In una cultura ripiegata su se stessa, come la nostra, i figli costituiscono un peso, un handicap. Per questa ragione i genitori trascorrono con i figli il tempo strettamente indispensabile. Si privilegia la nozione della “qualità” del tempo a discapito della vecchia idea della “quantità”. (Pascere il cuore del fanciullo, Tedd Tripp, collana “la famiglia cristiana”).
Come si vive il tempo di qualità?
Via telefonini e tablet! Prendi dei fogli, dei colori, un libro di racconti, dei giochi classici e fermati a trascorrere del preziosissimo tempo con i tuoi figli.
Parla, chiedigli come stanno, com’è andata la scuola, cosa hanno disegnato oggi. Questo, sostanzialmente, significa tempo di qualità. Si tratta di attimi importantissimi per il bambino e per te.
Dio fa così anche con noi. Corriamo tutto il giorno e quello che Dio ci chiede è di stare con lui, anche donandogli quei minuti in macchina, in mezzo al traffico, lodandolo e ringraziandolo, oppure quella pausa a lavoro da dedicargli leggendo la sua parola; ancora, del tempo, seppure breve ogni mattina per pregare prima di uscire di casa. Anche Dio vuole passare del tempo con noi, non solo in termini di quantità ma anche in qualità.
Penso al profeta Daniele. Nonostante l’esilio e la deportazione a Babilonia, da questo personaggio possiamo imparare molte cose, tra le quali la gestione del tempo. Daniele offriva a Dio tempo di qualità.
Nel libro di Daniele al capitolo 6:10 leggiamo che, dopo il decreto del re Dario, che vietava l’adorazione ad uomo o divinità che non fosse lui, scopriamo una buona abitudine di Daniele che possiamo imitare.
Daniele era un funzionario del re, quindi, i suoi impegni erano molti e il tempo quasi tutto dedicato al lavoro, ma questo ruolo non gli impediva di dedicare dei momenti preziosi a Dio perché, tre volte al giorno, Daniele rientrava in casa per pregare e lodare. Nemmeno lo sconsiderato decreto di Dario gli impedì di appartarsi con Dio.
Daniele era semplicemente innamorato di Dio e la sua passione era Dio. Quando amiamo e abbiamo passione per qualcuno, troviamo sempre del tempo per stare insieme. Almeno, dovrebbe essere così.
Chi è il tuo papà?
L’ultimo aspetto di cui vorrei parlare è quello di riconoscere il nostro padre celeste. Riflettevo: cosa succede se chiamiamo “papà” la figura spirituale sbagliata? Quando non si passa del tempo con il vero padre celeste lo si passa con un’altra figura.
La differenza che al nemico delle nostre anime non interessa passare del tempo con noi, non gli interessa sapere i nostri problemi e tanto meno non gli importa se la nostra vita sta andando in rovina. A lui interessa che non passi del tempo con il tuo vero padre celeste.
Satana non ti dirà mai “Amore non sono papà” ma ti avvolgerà, con calore e passione, nella sua tela.
In conclusione, se non riconosciamo in Dio il nostro vero padre, qualcun altro prenderà il suo posto. Se non chiamiamo “Abba, Padre” il nostro Dio, un’altra figura ci chiamerà “figliolo”.
Chi è il tuo papà?
Caro lettore, caro genitore, c’è speranza.
C’è speranza per la tua famiglia. Puoi con l’aiuto di Dio recuperare il tempo perduto con i tuoi figli.
Dio crea il volere e l’agire e questo ti deve incoraggiare.
Ma forse, prima di tutto senti il bisogno di riconoscere la tua posizione di figlio spirituale. Per essere dei bravi genitori bisogna prima essere dei bravi figli.
Manuel Terribile
La famiglia benedetta
1 Canto dei pellegrinaggi.
Beato chiunque teme il SIGNORE
e cammina nelle sue vie!
2 Allora mangerai della fatica delle tue mani,
sarai felice e prospererai.
3 Tua moglie sarà come vigna fruttifera,
nell’intimità della tua casa;
i tuoi figli come piante d’olivo intorno alla tua tavola.
4 Ecco così sarà benedetto
l’uomo che teme il SIGNORE.
5 Il SIGNORE ti benedica da Sion!
Possa tu vedere la prosperità di Gerusalemme
tutti i giorni della tua vita.
6 Possa tu vedere i figli dei tuoi figli.
Pace sia sopra Israele.
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